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2000/2004 - L'ALLARGAMENTO DELL'UNIONE – LA CRISI DELLE ISTITUZIONI - ROMANO PRODI - già Presidente della Commissione europea
La politica vive solo se c’è un senso della storia ed era fortissima all’alba del nuovo millennio la conseguenza della caduta del muro di Berlino, l’appello dei nuovi paesi di esser parte dell’Europa, l’idea che questo continente doveva chiudere una frattura che si era aperta con la guerra e con la cortina di ferro. Qualcuno ha detto che si è fatto troppo in fretta, che questo allargamento non ha tenuto conto delle paure. Ma come si fa a tener conto delle paure quando c’è un momento in cui si deve decidere il “Sì” e il “No”. Allora immediatamente proprio, qui devo dire con sforzo personale, ho spento il discorso dell’allargamento. L’obiettivo che mi era stato posto era, più o meno, 6 paesi in 10 anni. In meno di 5 sono stati 10 paesi, non 6, che sono entrati nell’Unione europea. E non si poteva evitare questo, proprio perché altrimenti si sarebbero riprodotte divisioni e tensioni, che avrebbero frenato lo sviluppo e la pace del continente. Ecco allora il potere dell’allargamento, fatto con prudenza, con serietà, con un lavoro impressionante dei miei funzionari e di tutti i commissari; dividendo la “aquis comunitaire”, cioè il patrimonio delle nostre leggi in 31 capitoli diversi, analizzando capitolo per capitolo con i singoli paesi e i parlamenti di questi paesi che ha lavorato giorno e notte per adeguare le leggi a questa grande novità. I governi di questi paesi che hanno lavorato per mettere in atto queste leggi, la Commissione che ha sorvegliato perché questo lavoro fosse tale da tranquillizzare la opinione pubblica dei paesi membri e l’opinione pubblica dei paesi nuovi. Cioè questo senso che si entrava veramente nella stessa Comunità, un senso assolutamente nuovo con, ripeto, un fatto emotivo, un elemento emotivo fortissimo. Non sottovalutiamo mai questi aspetti della vita delle istituzioni, perché poi diventeranno anche dei punti di riferimento della storia. L’allargamento a 10 nuovi paesi sono 80 milioni, quasi 80 milioni di nuovi europei, ma che venivano da esperienze storiche completamente diverse, non era come gli allargamenti precedenti, la Spagna, il Portogallo, la Grecia, che avevano in fondo respirato la stessa storia, qui bisognava chiudere una ferita. L’allargamento allora non è un messaggio solo economico, non è un messaggio limitato, ma è un grande messaggio politico: dell’Europa che sa esportare democrazia e la esporta per il lungo periodo e la esporta per sempre, perché questi diventano membri dell’Unione europea con capacità decisionale e questi paesi per la prima volta, dopo secoli alcuni, come la Polonia, si trovano nella situazione di entrare in una Comunità come amici e come partecipanti alle decisioni e non più come paesi schiacciati dalle potenze che stanno loro attorno. Ecco allora perché l’allargamento deve essere fatto in fretta, deve essere fatto con serietà, ma in un tempo storico che impedisse pentimenti, che impedisse ad altri eventualmente di rallentare questo grande processo decisionale. Ecco quindi il lavoro ha proceduto e il primo maggio del 2004 c’è stata questa grande cerimonia, emotivamente forte, dell’ingresso di questi nuovi paesi. Naturalmente questo non è un processo finito, perché contemporaneamente abbiamo lanciato il problema dell’”Anello degli amici”, da costruire attorno ai membri dell’Europa. L’anello dei paesi che condivideranno con noi tutto, ma non faranno parte dell’Europa, tutto ma non le istituzioni, in modo da dare stabilità non solo all’interno dell’Europa ma anche a coloro che ci stanno attorno. Chiaro che l’allargamento non è finito perché dovrà comprendere i Balcani, perché prima o poi, quando saranno pacificati entreranno in Europa e poi resta indubbiamente aperto il problema della Turchia. Ma il continente ha un assetto definitivo, adesso bisogna approfondirlo, bisogna concretizzarlo, bisogna rafforzarlo, ma l’assetto definitivo è già stato proposto, è stato da tutti approvato.
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