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1999 - L'AGENDA DELLA COMMISSIONE – LA CRISI DELLE ISTITUZIONI - ROMANO PRODI - già Presidente della Commissione europea
La nuova Commissione europea aveva dunque una duplice nuova pista. La prima parte di questa missione era quella di riportare il senso dell’Europa, il senso della missione e tradurla in un’azione pratica; la seconda era quella di realizzare l’allargamento dell’Unione per tener conto dei nuovi eventi della storia. La prima parte della missione era la più difficile, la più complessa, proprio perché bisognava riprendere tutti gli aspetti del processo decisionale delle diverse istituzioni europee: il ruolo degli stati membri, il ruolo della commissione, il modello organizzativo e, in vista di una nuova organizzazione del modo di lavorare, riformare la struttura e il modo di operare della Commissione stessa, cioè l’organo di governo ed esecutivo dell’Europa. Questo significava prima di tutto ribadire le priorità nel campo della politica e organizzare il lavoro della Commissione per ottenere e raggiungere gli obiettivi politici che ci si proponeva. Tra gli obiettivi, dominante nel ‘99/2000, era proprio quello della crescita economica, messa a rischio dalla frammentazione stessa dell’Europa. Allora viene il vertice di Lisbona, il vertice di Lisbona in cui si martella su un concetto molto preciso: che in dieci anni, cioè entro il 2010, l’Europa deve divenire il fulcro, il punto forte di riferimento dell’innovazione nel mondo. L’Europa, il vecchio grande continente in cui era nata la scienza, la tecnologia, era nata la modernità, superata dagli Stati Uniti, insidiata dal nuovo mondo, doveva ritornare al vertice della modernità e dell’innovazione. Il vertice di Lisbona, che ha trovato grandi accordi nel senso anche di felicità, diciamo così nell’imporre questi strumenti di euforia, ma attenzione, in un momento però in cui molti dei paesi partecipanti non erano assolutamente disposti a mettere insieme gli strumenti per raggiungere questi obiettivi. Cioè da un lato unanimità nel dire, dovremo diventare il punto di riferimento dell’innovazione mondiale, ma dall’altro lato difficoltà di mettere assieme le risorse e difficoltà nel trovare nuovi processi decisionali, fra i diversi paesi. Tanto è vero che a Lisbona trionfò il metodo del cosiddetto “Benchmarking”, parola che vuol dire “del confronto”, in cui si diceva: non stabiliamo nessuna misura obbligatoria nel comportamento dei diversi paesi, non stabiliamo obiettivi obbliganti, ma diciamo soltanto che ognuno dovrà seguire l’esempio del paese più virtuoso. Chiaro che questo approccio ha dei limiti fortissimi e in effetti questo sistema non è stato sufficiente per risvegliare l’Europa. E qui abbiamo una grossa contraddizione che nasce a Lisbona: da un lato propositi molto altisonanti, la Commissione che si evolve, che si rafforza per raggiungere questi propositi, ma gli stati membri che non concedono né risorse, né le riforme decisionali che sono necessarie per raggiungere questi obiettivi. Questa è la grande contraddizione in cui l’Europa ha vissuto in questi anni, contraddizione dalla quale non siamo ancora usciti e dalla quale dobbiamo assolutamente uscire nel prossimo futuro.
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